La scorsa settimana un rapporto pubblicato dall’OCSE ha
tirato le orecchie al nostro Paese, alle sue politiche ed ai suoi cittadini in tema
di università. Pochi laureati, bassa preparazione, il crearsi di una sorta di
trappola della bassa competenza che tende ad autoalimentarsi ed
autoperpetuarsi, inadeguato riconoscimento della competenza e inadeguata
premialità in favore della stessa. E ci aggiungerei anche un aspetto
strettamente collegato, una pressoché inesistente punibilità per
l’incompetenza.
Una situazione certamente grave, ci sono pochi dubbi, ma ci
sono aspetti che non riescono ad emergere da una arida statistica.
Lunedì 6 ottobre 2017, ad esempio, sulla prima pagina di un
noto quotidiano nazionale, Il Messaggero, è stato pubblicato un illuminante
fondo su questo argomento. Un articolo dedicato appunto a quanto poco vengano
premiate le competenze in Italia, e io aggiungerei di nuovo che in Italia
mancano anche le sanzioni per le incompetenze, a quanto poco abbia fatto la
politica in termini di incentivo alla formazione professionale e tecnica. Nel
pezzo compare anche l’ormai obbligata citazione della industria 4.0 e non manca
la consueta lamentazione in materia di separazione e distanza tra quanto viene
studiato all’università e quanto invece serve alle aziende.
Consueto, solito, ripetitivo, ennesimo ma questo pezzo aveva
in sé un potere luciferino, nel senso di portatore di luce, sulla situazione
dell’università italiana e del nostro Paese in generale che pochi altri pezzi
giornalistici hanno avuto negli ultimi anni.
La firma.
Un pezzo in prima pagina di critica all’università italiana
ed al sistema di premialità alle competenze firmato da Oscar Giannino.
Scendono le luci, sipario, buona notte.
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